IL TRIBUNALE

    Nella  causa iscritta al n. 606/1995 r.g. e vertente tra Paratore
Irene  Carmela  e  Paratore  Alberto,  con gli avv. Antonio Strangi e
Francesco Munafo', attori;
    Contro  1)  Siad S.p.A., oggi Aurora Ass.ni S.p.A. convenuta, con
l'avv.  Corrado  Martelli; 2) Alessandro Luigi, convenuto, con l'avv.
Francesco Aurelio Chillemi; 3) Biondo Antonino, convenuto, con l'avv.
Luigi  Autru  Ryolo;  letti gli atti e sciogliendo la riserva assunta
all'udienza   del   22 ottobre   2003,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza.
    1.  -  Con  precedente ordinanza del 27 marzo 2002 questo giudice
aveva dichiarato «non manifestamente infondata la sollevata questione
di  illegittimita'  costituzionale  degli artt. 300, secondo comma, e
305  c.p.c.,  in  relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione»; ed
aveva,  di  conseguenza, disposto la rimessione degli atti alla Corte
costituzionale per la pronuncia di sua competenza.
    Senonche'  la  Corte, con ordinanza n. 118 del 10 aprile 2003, ha
poi   ritenuto   la  questione  inammissibile,  perche'  carente  «di
un'autonoma motivazione».
    All'udienza  del  22 ottobre 2003, il procuratore degli attori ha
reiterato  la  questione,  chiedendo  a  questo  giudice di rimettere
nuovamente  gli atti alla Corte costituzionale, previa l'integrazione
della motivazione ritenuta carente.
    Invero,  le  pronunce  di  semplice  inammissibilita' della Corte
costituzionale, come quella in oggetto, non impediscono di riproporre
la  stessa  questione  di (eventuale) illegittimita' della norma gia'
denunciata, sulla scorta di una diversa motivazione ovvero di profili
nuovi o aggiuntivi.
    Questo   giudice   ritiene   che   permangono   i   forti   dubbi
d'illegittimita' costituzionale degli artt. 300, secondo comma, e 305
c.p.c.,   per  i  motivi  che  vengono  rassegnati  con  la  presente
ordinanza.
    2.  -  In  punto  di fatto, occorre ricordare che all'udienza del
13 ottobre   1999   il  procuratore  costituito  della  Siad  S.p.A.,
originariamente convenuta nel giudizio, dichiarava a verbale che tale
societa'  era  stata  incorporata  dalla  Aurora  S.p.A.  con atto di
fusione  del  9 dicembre  1998  e chiedeva, pertanto, che il giudizio
venisse dichiarato interrotto.
    Essendo sorta controversia sul punto, questo giudice riservava la
decisione   sulla   (eventuale)   dichiarazione   d'interruzione  del
processo,  concedendo  alle  parti  il termine di venti giorni per il
deposito di note difensive.
    Senonche', come rilevato nella precedente ordinanza di rimessione
del  27 marzo  2002,  «a  seguito di mero disguido di cancelleria, il
fascicolo  veniva  consegnato al g.i., anzi da questi reperito in una
carpetta  contenente  altri  fascicoli  relativi  a cause assegnate a
sentenza, con notevole ritardo». Per cui, «la riserva veniva sciolta»
soltanto «con ordinanza del 3 aprile 2000, in pari data depositata in
cancelleria, con la quale il Processo veniva dichiarato interrotto».
    Tale  ordinanza,  per  quanto qui interessa, veniva comunicata al
procuratore  degli  attori  il 17 aprile 2000; dopo di che lo stesso,
con ricorso depositato il 9 maggio 2000, provvedeva alla riassunzione
del processo.
    A  seguito  delle  rituali  notifiche  si  costituivano la Aurora
S.p.A.  ed il convenuto Alessandro Luigi, eccependo la estinzione del
processo perche' riassunto oltre il termine perentorio di sei mesi, a
decorrere  dal  giorno  (13 ottobre  1999)  in  cui era stata resa in
udienza  la  dichiarazione  dell'avvenuta  incorporazione  della Siad
S.p.A. nella Aurora S.p.A.
    Il  procuratore  degli  attori,  a  questo punto, sollecitava una
diversa  interpretazione  delle  norme  incriminate e in subordine ne
eccepiva  l'illegittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  gli
artt. 3 e 24 della Carta fondamentale.
    Da  qui  derivava  la precedente rimessione degli atti alla Corte
costituzionale, di cui si e' detto.
    3.  -  Nella  specie, l'ordinanza che ha dichiarato interrotto il
processo  e'  stata  pronunciata fuori udienza, in esito alla riserva
assunta  da  questo giudice a causa del contrasto che era insorto tra
le  parti circa la portata interruttiva o meno dell'evento dichiarato
dal procuratore della Siad S.p.A.
    Risulta  dagli  atti che tale riserva e' stata poi sciolta con la
citata  ordinanza  del  3 aprile  2000,  che  e'  stata comunicata al
procuratore degli attori soltanto in data 17 aprile 2000.
    A  tale data erano trascorsi piu' di sei mesi dall'udienza in cui
era stata resa la dichiarazione dell'evento interruttivo.
    Secondo  il  secondo  comma  dell'art.  300 c.p.c. il processo e'
interrotto «dal momento di tale dichiarazione ...».
    Anche    la    giurisprudenza   di   legittimita'   ritiene   che
l'interruzione    del   processo   intervenga   dal   momento   della
dichiarazione dell'evento fatta in udienza dal procuratore costituito
e  non  da  quello della comunicazione della successiva ordinanza che
disponga  l'interruzione medesima. Cio' perche' si attribuisce a tale
ordinanza   un   valore   meramente   dichiarativo   di   un  effetto
(interruzione) gia' verificatosi automaticamente in virtu' della sola
dichiarazione.
    L'interruzione  di  cui all'art. 300 cit. presuppone, da un lato,
l'esistenza  di  un  evento,  certo,  che  sia  idoneo  a provocarla;
dall'altro,  la  dichiarazione  che  di  tale  evento  venga fatta in
udienza  dal procuratore costituito. L'evento e la dichiarazione sono
entrambi  elementi  costitutivi  della fattispecie; per cui l'effetto
interruttivo non puo' aversi in mancanza di uno di essi.
    La  sopra  ricordata  interpretazione,  da assumere come «diritto
vivente», finisce invece per disciplinare alla stessa maniera vuoi il
caso  in  cui il procuratore dichiari un evento che sia pacificamente
esistente  ed  idoneo,  sia  quello  in  cui  risulti dubbio, perche'
controverso  (come  nella specie), che l'evento, ancorche' dichiarato
dal   procuratore,  sia  realmente  esistente  o  comunque  idoneo  a
provocare l'interruzione.
    Secondo  il  cennato  «diritto  vivente», anche in questo secondo
caso  l'interruzione  dovrebbe essere contestuale alla dichiarazione,
pur   risultando   l'evento,  in  questo  medesimo  caso,  privo  del
necessario   requisito   della  certezza  (almeno  al  momento  della
dichiarazione stessa).
    In  tal  modo, il legislatore accomuna sotto la stessa disciplina
sia l'uno che l'altro caso, benche' diversi tra di loro.
    Cio'  appare palesemente in contrasto con l'art. 3 Cost., perche'
a  due  situazioni  diverse  non possono che corrispondere due regimi
giuridici  diversi.  Viola  il  principio  di uguaglianza, invero, il
fatto  che  a produrre il medesimo effetto interruttivo possa essere,
nel  caso,  la  sola  dichiarazione  del  procuratore, anche senza la
presenza (attuale) di un evento (da considerare gia) certo o idoneo.
    Il  che,  per  vero, sembra violare anche il diritto di difesa di
cui   all'art. 24  della  Costituzione,  posto  che  le  altre  parti
(rispetto  a  quella  dichiarante) verrebbero a subire l'interruzione
del  processo,  ancor prima della decisione del giudice, anche quando
sia  incerta  l'idoneita' dell'evento dichiarato. Si avrebbe, allora,
una  sorta  d'interruzione operante medio tempore in via provvisoria,
per  poi diventare definitiva o cadere del tutto dopo la decisione da
parte del giudice.
    Tutto  cio'  appare irragionevole, in quanto tutte le parti hanno
diritto  a  che  il processo non abbia interruzioni ingiustificate, a
causa  di  (eventuali)  dichiarazioni  equivoche o erronee. La tutela
giurisdizionale  non  puo'  dipendere,  nel suo normale e ragionevole
svolgimento,  da  dichiarazioni  di  tal  genere. Per altro verso, e'
parimenti  irragionevole che un effetto interruttivo diventi operante
di  per  se',  ancorche' il giudice sia chiamato a pronunciarsi sulla
esistenza e/o idoneita' dell'evento dichiarato.
    Per cui sembra che l'art. 300, secondo comma c.p.c., debba essere
dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in cui non
prevede  che  il  processo  e'  interrotto non gia' dal momento della
semplice  «dichiarazione»  del  procuratore,  bensi'  da quello della
decisione  del  giudice  circa  l'esistenza o l'idoneita' dell'evento
dichiarato, almeno nei casi in cui sorga contestazione al riguardo.
    4. - Non sfugge ad una valutazione negativa di legittimita' anche
l'ulteriore  corollario  che  la  giurisprudenza  fa  discendere  dal
principio  sopra  affermato come «diritto vivente»: quello, cioe', di
far  decorrere  il  termine  semestrale per la riassunzione, previsto
dall'art. 305  c.p.c.,  dal  momento  stesso  della dichiarazione del
procuratore,   anche  nei  casi  in  cui  la  decisione  del  giudice
intervenga in un momento successivo, come nella specie.
    Tale  corollario,  invero,  appare  anchesso in contrasto con gli
artt. 3 e 24 della Cost.
        a) Il  contrasto  con l'art. 3 si delinea da ben due punti di
vista.
        Il  primo, e' interno allo stesso istituito, perche' il caso,
invero   particolare,  dell'interruzione  pronunciata  con  ordinanza
riservata,  a  seguito  di contrasto tra le parti, verrebbe ad essere
disciplinato,  quanto  alla  decorrenza  del termine semestrale, alla
stessa  maniera  del  diverso caso in cui l'interruzione venga invece
dichiarata  nella  stessa  udienza  in  cui il procuratore ha reso la
dichiarazione  dell'evento. Diversi essendo i due casi, e' innegabile
che  ciascuno  di  essi  debba  fruire  di  un  diverso meccanismo di
decorrenza  del termine per la riassunzione, in coerenza con i motivi
della  diversita'. Di modo che, nei casi in cui ancora non si conosca
la  decisione  del  giudice,  tale  coerenza fa si' che la decorrenza
possa  aversi  soltanto  a  partire  dalla decisione medesima, o, per
meglio  dire, dalla comunicazione della stessa, che il cancelliere e'
tenuto a dare, ex art. 134 c.p.c., quando la pronuncia avviene «fuori
dell'udienza».
        Non e' garantita la parita' di trattamento, se due situazioni
cosi' diverse vengono regolate alla stessa maniera.
        Con  riguardo,  poi,  all'intero  ordinamento processuale, la
violazione  dell'art. 3  Cost.  traspare da cio' che, mentre in tutti
gli  altri  casi  il  termine  per  promuovere  rimedi (impugnazioni,
reclami,  opposizioni,  ecc.)  si  fa decorrere dalla comunicazione o
notificazione  del  provvedimento  del  giudice,  a prescindere dalla
natura  dichiarativa  o  meno  dello  stesso  (v.  tra  i  tanti, gli
artt. 50;  178,  terzo  comma;  308;  326;  739,  secondo comma; ecc.
c.p.c.), soltanto nel caso in esame, invece, un termine decadenziale,
imposto  per un'attivita' d'impulso processuale, verrebbe a decorrere
da  una  semplice  dichiarazione  della  parte,  a  prescindere dalla
conoscenza  della  decisione  che il giudice e' tenuto ad assumere al
riguardo.
        La  disparita'  di  trattamento e' palese, e risulta alquanto
irragionevole,  non  essendo  peraltro espressione di alcun principio
generale che sia rinvenibile nell'ordinamento.
        b) Il contrasto con l'art. 24 cost. non e' meno evidente.
        Secondo   il  delineato  sistema,  la  parte  interessata  si
troverebbe  di  fronte  due  vie:  o  riassumere  il  giudizio  senza
attendere  la  decisione  del  giudice,  con  il  rischio di andare a
svolgere  un'attivita' che potrebbe risultare inutilmente onerosa, se
l'interruzione non dovesse essere dichiarata; ovvero attendere quella
decisione,   e   cosi'   vedersi   privata,   una   volta  dichiarato
(eventualmente)  interrotto  il  processo,  di  una parte del termine
semestrale, o anche della sua intera durata, come nella specie.
        Se  questa  seconda  via  appare  gravemente  limitativa  del
diritto di difesa, che sarebbe aleatoriamente compresso entro margini
temporali  estremamente  ridotti  o  addirittura annullati del tutto,
l'altra  via  e'  quanto  meno  irragionevole,  e come tale parimenti
illegittima,  dal  momento  che  la  parte sarebbe gravata di onerosi
adempimenti   processuali   ancora   non  necessari,  nell'attesa  di
conoscere la decisione del giudice.
        Da  un  altro  punto di vista, si deve ricordare che la Corte
costituzionale,  proprio  a proposito della riassunzione del processo
interrotto,  ha  ribadito  piu'  volte  che  il relativo termine puo'
decorrere    soltanto    dalla    «conoscenza   legale»   dell'evento
interruttivo.  Anche  se tali pronunce sono intervenute con specifico
riguardo a fattispecie diverse, esse comunque consentono di enucleare
un  principio  generale, valido, a ben vedere, anche nella vicenda in
oggetto.
        Invero,  la  «conoscenza  legale» del fatto interruttivo puo'
aversi  soltanto  al  momento della comunicazione della decisione del
giudice,  appunto  perche'  e'  tale  decisione che, interpretando la
norma,  attribuisce  alla dichiarazione del procuratore costituito il
valore    giuridico    previsto    dall'art. 300   c.p.c.   ai   fini
dell'interruzione.   Ed   allora,   se   prima   della  decisione  la
dichiarazione  e'  priva  del valore giuridico di cui sopra, non puo'
parlarsi neppure di conoscenza legale di un evento, che ancora non e'
stato classificato giuridicamente.
        Ma se la conoscenza non e' «legale», la stessa giurisprudenza
costituzionale esclude che il termine possa incominciare a decorrere.
        Per  cui  anche  l'art. 305  c.p.c. appare costituzionalmente
illegittimo,  ex  artt. 3 e 24 Cost., laddove non prevede che in caso
di   contrasto   e  di  decisione  differita  da  parte  del  giudice
sull'interruzione  o  meno  del giudizio, il termine semestrale debba
decorrere  dalla comunicazione della decisione stessa, anziche' dalla
dichiarazione del procuratore.
    5.  -  Pertanto,  questo  giudice  ritiene  che  la  questione di
illegittimita'  costituzionale,  nei sensi sopra specificati, non sia
manifestamente  infondata,  si'  da  legittimare una nuova rimessione
degli atti alla Corte costituzionale.
    Per  vero,  non  sfugge  a  questo  giudice  la  diversa  opzione
interpretativa   che   potrebbe   scaturire  dal  combinato  disposto
dell'att. 305 con gli artt. 134 e 176 c.p.c.
    Posto,    infatti   che   tali   ultimi   articoli   stabiliscono
espressamente  che  «il  cancelliere  comunica alle parti l'ordinanza
pronunciata  fuori dell'udienza», si potrebbe da cio' argomentare che
l'onere della comunicazione, essendo previsto a tutela del diritto di
difesa,  non  possa  che  implicare,  di  per  se', la decorrenza del
termine dalla comunicazione stessa.
    Tuttavia,  la  giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto
e'  alquanto  univoca,  nel  senso  gia'  considerato; e questo rende
inevitabile  la  verifica  di  compatibilita'  con la Costituzione da
parte della Corte costituzionale.